La regione Emilia-Romagna è probabilmente la food valley italiana più famosa, sia a livello nazionale che mondiale. Non è un caso che il capoluogo di regione, Bologna, fosse conosciuta nel Medioevo come La Grassa, perché anche in quei tempi difficili, cibo sano e vino di qualità erano raramente assenti anche sulle tavole più povere.
Per avere un’idea dello stato attuale della regione per quanto riguarda il turismo enogastronomico, basta vedere l’abbondanza di prodotti e sapori offerti ai turisti che ogni anno giungono da ogni parte del mondo. Anche in un Paese conosciuto in tutto il mondo per la sua ricca gastronomia, l’Emilia-Romagna si distingue per l’estrema qualità e varietà dei prodotti.
La regione ha 13 ‘Strade dei Vini e dei Sapori‘ che si estendono per 2.000 chilometri, con oltre 1.000 destinazioni tra aziende agricole commerciali, cantine, lattiero-caseari, bed & breakfast, agriturismi e botteghe artigianali. Lo ‘scrigno gastronomico‘ regionale comprende 26 prodotti tra DOP e IGP, che sono più di qualsiasi altra regione italiana o europea.
In tale panorama la vitivinicoltura occupa un posto di tutto rispetto e ha radici tradizionali molto antiche.
Infatti, tracce della coltivazione della vite e della produzione di vino risalgono alle civiltà etrusca, celtica e romana, come documentato da varie fonti letterarie e archeologiche antiche. Grazie all’ampia varietà di uve coltivate, al numero di diverse tecniche di coltivazione, ai continui miglioramenti della tecnologia volti ad aumentare la qualità del prodotto sia in vigna che in cantina, nonché ai prezzi competitivi nel mercato globale, il settore della vinificazione ha registrato una crescita sostanziale e ottenuto ottimi risultati.
In questa regione, dove la vite ha trovato condizioni favorevoli di crescita sia in collina che in bassa pianura, generando vigneti dalle caratteristiche ben definite, negli ultimi vent’anni si è assistito a un’estesa messa a dimora di vitigni internazionali. Negli ultimi anni, però, questa tendenza si è invertita e molti produttori locali stanno rivolgendo la loro attenzione ai vitigni autoctoni, puntando alla produzione di vini sempre più competitivi sul mercato globale, grazie a profumi e sapori unici e caratteristici.
Circa il 5% del mosto totale viene utilizzato per prodotti diversi, come l’aceto balsamico tradizionale di Modena o di Reggio Emilia.
Esistono 20 DOC, una DOCG e 10 varietà IGT.
Vitigno | DOC | DOCG |
Albana |
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Barbera |
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Bonarda |
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Fortana |
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Lambrusco |
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Malbo Gentile |
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Montuni |
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Pignoletto |
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Sangiovese |
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Trebbiano Romagnolo |
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IGT | |
Vino | Vitigno |
Bianco di Castelfranco Emilia |
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Emilia o dell’Emilia |
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Forlì |
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Fortana del Taro |
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Provincia di Modena o Modena |
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Ravenna |
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Rubicone |
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Sillaro o Bianco del Sillaro |
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Terre di Veleja |
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Val Tidone |
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Bianchi
Albana
Tra le uve bianche più importanti dell’Emilia Romagna, l’Albana occupa una posizione preminente. Attualmente questa varietà è coltivata lungo le propaggini dell’Appennino, nel tratto che va dalla periferia di Bologna, capoluogo di regione, fino alla costa, vicino al confine con le Marche. La zona di produzione comprende vigneti nelle province di Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna.
Le origini del vitigno Albana si perdono nella notte dei tempi.
Si racconta che un giorno Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, durante una sosta in un piccolo paese della Romagna, assaggiò il vino prodotto con queste uve. Offerto dai contadini del posto, il vino fu servito alla principessa in un vaso di terracotta. Le piacque così tanto che, appena lo assaggiò, disse: “Non in un così umile recipiente dovresti essere bevuta, ma in calici d’oro, per onorare la tua finezza!”. Da allora, si racconta, alla corte imperiale di Ravenna il vino Albana fu bevuto in preziosi calici d’oro. Il piccolo paese dove la principessa bevve per la prima volta quel nettare si chiamava allora Bertinoro (Da bere in oro), nome che dura ancora oggi.
Quando le uve di questo vitigno vengono lasciate appassire prima di essere pigiate, si ottiene un vino spumante DOC dal colore dorato, dal profumo caratteristico, intenso e delicato e dal sapore dolce e gradevole.
Alionza
Le origini di questo vitigno sono incerte. L’autore De Crescenzi lo menziona nei suoi scritti del 1495. Più tardi, lo si può trovare nell’opera del 1723 del Trinci e in quella del 1825 dell’Acerbi. Gli ampelografi francesi, da parte loro, hanno supposto che la vite fosse presente nei vigneti della Francia meridionale. Ciò che è certo, però, è che l’uva Alionza è coltivata nelle province di Bologna e Modena da tempo immemorabile. Anticamente la vite, mescolata ad altre varietà tradizionali, era solita arrampicarsi sugli alberi, secondo il famoso metodo di allevamento ad “alberata“, un sistema che è attualmente utilizzato quasi esclusivamente nella regione Campania per l’uva Asprinio di Aversa.
Nella provincia di Bologna questa uva è conosciuta anche come Uva Schiava. Il nome potrebbe riferirsi alla possibile origine slava del vitigno, o forse alla coltivazione tradizionale utilizzata in alternativa all’alberata, che addestra la vite in lunghe file utilizzando pali e filo di ferro. Tra gli altri sinonimi di questa vite vi sono Aleonza, Glionza, Uva Lonza e Alionga Bianca del Bolognese.
L’uva non rientra tra le varietà obbligatorie richieste per la produzione dei vini DOC regionali, tuttavia è ammessa in blend prodotti nelle due province di origine. La foglia è di medie dimensioni e pentagonale. Il grappolo è grande, con una forma allungata e piramidale, a volte con una grande ala o, più raramente, due ali. Gli acini sono medi, spargoli, grandi e rotondi. La buccia è spessa e consistente, con abbondante pruina, è di colore giallo brillante e presenta un curiosamente pronunciato “ombelico” marroncino.
Questa varietà prospera in terreni sciolti, caldi e collinari. La produzione è regolare e costante. Ha una buona resistenza all’oidio, alla botrite, all’acarina e alle leggere gelate. Nelle annate cattive può essere colpita dalla cosiddetta ‘acinellatura‘, quando, a causa di un ”aborto floreale‘, maturano solo cinque o sei acini su 30.
Montù (o Montuni)
Questo vitigno di origine incerta è coltivato soprattutto nelle province di Bologna e Ravenna. All’inizio del secolo scorso, l’agronomo Domizio Cavazza spiegò che l’etimologia del nome deriva dal dialetto locale e significa “molte uve“. In effetti, questa varietà è molto vigorosa e produce uve con elevata acidità, quindi viene utilizzata per produrre vini con spiccata fragranza e capaci di invecchiare con grazia.
Pignoletto
Il Pignoletto, riscoperto e apprezzato negli ultimi anni, è un vitigno antico originario dei Colli Bolognesi. Molti riferimenti storici a quest’uva risalgono addirittura all’epoca romana, quando Plinio il Vecchio, nella sua ‘Naturalis Historia‘, scrisse di un vino chiamato “Pino Lieto” che “non è abbastanza dolce per essere buono”, perchè, come sappiamo, gli antichi Romani amavano i vini incredibilmente dolci.
Nel 1654, nel suo trattato intitolato ‘L’Economia del Cittadino in Villa‘, lo scrittore Vincenzo Tanara menziona “Uve Pignole“, coltivate nella campagna collinare che circonda Bologna. Attualmente il Pignoletto è l’uva base per molti vini DOC in varie versioni: secco, semi-spumante (leggermente frizzante), spumante (frizzante) e passito (vino da dessert fatto con uve più o meno appassite).
Rossi
Ancellotta
Tradizionalmente questo vitigno rosso è coltivato soprattutto nella provincia di Reggio Emilia e, in quantità minori, in altre province dell’Emilia Romagna. Il nome deriva probabilmente dalla famiglia modenese Lancellotti, o Lancillotto, che per prima coltivò quest’uva nel XIV secolo. Infatti, a volte la varietà è chiamata Lancellotta.
Dopo la prima guerra mondiale, la vite fu piantata con risultati interessanti nella zona vinicola compresa tra i comuni di Mori e Avio, nella Val d’Adige, nella parte meridionale del Trentino. Attualmente, l’Ancellotta è coltivata in quantità minori anche nelle regioni del Friuli, Lombardia, Veneto, Toscana, Puglia e Sardegna.
Centesimino
Il Centesimino, o Sauvignon Rosso come talvolta viene chiamato nella provincia di Faenza, è un vitigno coltivato in Romagna almeno dalla seconda guerra mondiale. Intorno alla metà degli anni ’60, per promuovere il vino prodotto con quest’uva, l’allora agronomo aggiunto delle Opere Pie Raggruppate (OO. PP. RR), Paolo Visani, propose di impreziosire le bottiglie con etichette speciali prodotte dalle Litografie Artistiche Faentine (noto e apprezzato editore d’arte faentino).
Diverse fonti stampate e orali riportano che i numerosi vigneti di questa varietà piantati durante gli anni ’60 e ’70 attorno alla città di Oriolo provengono da coltivazioni locali preesistenti. Tutti i cloni originali derivano da un vigneto nel Podere Terbato, di proprietà di Pietro Pianori, soprannominato ‘Centesimino‘ (Piccolo Centesimo).
A partire dagli anni ’60, questo vitigno è conosciuto localmente come Sauvignôn, Savignon o Uva di Centesimino, dal soprannome del viticoltore che per primo individuò e coltivò la varietà.
Fortana
Conosciuto anche come Uva d’Oro, si ritiene che questo vitigno sia stato portato dalla Francia intorno alla metà del 1500. In passato era tradizionalmente coltivato lungo le rive del fiume Po, nella zona tra Parma e Ferrara, dove veniva utilizzato principalmente in uvaggio con uve Lambrusco, conferendo al vino risultante un colore più intenso e tannini moderati.
Malbo Gentile
Questo vitigno, la cui esistenza è documentata da circa un secolo, è attualmente coltivato esclusivamente nella provincia di Modena. È una varietà vigorosa con una buona e costante produzione di frutti ad alto contenuto zuccherino. Viene utilizzato per produrre vino varietale e anche in uvaggio con il Lambrusco. Particolarmente interessanti sono i vini novelli prodotti con questa varietà.
Lambrusco
Le diverse tipologie di Lambrusco costituiscono una famiglia di vitigni perfettamente integrata nel paesaggio modenese da secoli. Queste uve producono un vino inconfondibile, dovuto alla sua rifermentazione naturale in primavera.
La Vitis Lambrusca era nota fin dall’epoca romana, ma fu solo nell’Ottocento che alcune linee genetiche prevalsero e acquisirono caratteristiche specifiche. Così, nella provincia di Modena vennero censiti tre tipi di vitigni con caratteristiche simili, anche se abbastanza distinti tra loro: il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro e il Lambrusco Salamino di Santa Croce.
Sangiovese
L’esistenza di questa vite nella zona è stata documentata fin dal 1600, e citata in poesie da Pier Maria De’ Minimi da Forlì, e da Jacopo Landoni da Ravenna. Il vino divenne piuttosto popolare nel 18° secolo.
Esistono diverse storie sull’etimologia del suo nome. Secondo il glottologo Friedrich Josef Maria Schürr (un linguista austriaco, considerato il maggiore studioso della lingua romagnola), deriverebbe da Monte Giove, il colle su cui sorge Santacangelo di Romagna.
Una leggenda locale narra che i monaci della confraternita dei frati cappuccini che vivevano nel monastero di Santarcangelo di Romagna, tra le altre cose, coltivavano vigneti. Una volta, un personaggio noto dell’epoca fu da loro ospitato, questi apprezzò molto il vino prodotto dai monaci e chiese come si chiamasse. I monaci erano imbarazzati, poiché non avevano mai pensato di chiamare il loro prodotto in modo diverso da “vino”. Uno di loro, però, che aveva una mente veloce, inventò un nome al momento: “Sanguis di Jovis“. Il nome divenne poi “Sangue di Giove” in italiano e, alla fine, si trasformò nel Sangiovese che conosciamo oggi.
Uva Longanesi
Questo vitigno, conosciuto localmente anche come ‘Burson‘ (‘grande borsa’, o, ‘grande bagaglio’, in gergo locale) dal soprannome della famiglia che lo salvò dall’estinzione, ha almeno 200 ettari (circa 500 acri) di vigneti. La vite prospera nella pianura ravennate e sulle colline faentine. Fu il viticoltore locale Antonio Longanesi a salvare questa varietà dall’estinzione. Longanesi trovò una vite di questa varietà negli anni ’50, in uno dei suoi campi coltivati a Boncellino di Bagnacavallo. Sperimentò gli innesti e aspettò pazientemente di raccogliere le prime uve. Il risultato fu, sorprendentemente, un grande successo. Il consorzio di produttori del viticoltore, denominato ‘Il Bagnacavallo‘, è stato fondato nel 1999 con l’obiettivo di promuovere e tutelare questo vitigno insieme ad altri prodotti locali della terra.
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