L’Italia è tra i più grandi esportatori di vini rinomati e prelibati, ma al di là delle statistiche internazionali, quanti sono davvero i vitigni autoctoni italiani?
Tanti, davvero tanti, ma vediamo un po’ di numeri: sulle oltre 7.000 differenti specie vegetali presenti nella nostra Nazione, spiccano ben 1.800 vitigni spontanei, per capire la dimensione della cosa basti sapere che la Francia è seconda con circa 200 vitigni, ma non tutte queste varietà sono utili alla vinificazione, vi sono specie da consumare a tavola ed altre persino considerate solo ornamentali e tra quelle adatte alla produzione di vino, che si stima in oltre 500, sono registrate ufficialmente “solo” 545 varietà di vite, delle quali oltre 350 sono vitigni rossi autoctoni, un numero davvero impressionante.
Cosa si fa di questa grande varietà e ricchezza non è sempre ovvio, presto detto o semplice da classificare, per cominciare possiamo partire dalla suddivisione in categorie, cinque sono quelle principali che distinguono i nostri vini: vini da tavola, vini varietali e tre livelli di denominazione di origine dostinti in IGP (Indicazione Geografica Protetta), DOP (Denominazione di Origine Protetta), e DOC (Denominazione di Origine Controllata), quest’ultima distinta spesso in DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) ed in specifiche sottozone o menzioni geografiche aggiuntive.
Tuee queste classificazioni sono intese per definire con sicurezza l’origine del prodotto e la sua qualità così da potersi distinguere sia nell’ampio panorama nazionale che in quello ancora più vasto mondiale.
A questo punto si deve necessariamente notare che in ogni caso il sistema non è completamente statico, ma si evolve dinamicamente ogni qual volta si senta la necessità di proteggere o sepezionare un prodotto, per cui ad oggi possiamo notare già oltre 400 denominazioni di origine protetta (DOP), tra le quali poco pià di settanta sono DOCG ed oltre 100 ad Indicazione Geografica Tipica (IGT).
Le regioni più produttive, in ordine decrescente, sono Piemonte, Toscana, Veneto, Puglia, Lazio e Lombardia, anche se la grande diffusione di molti vini del sud Italia all’estero può far pensare ad una maggior produzione di quelle zone.
Va notato che il sistema di etichettatura vinicola italiano, che inizialmente era basato su un modello che è stato riprogettato perchè rigettato dall’UE, ha già classificato oltre 50 milioni di differenti etichette nazionali, evidenziando una significativa discrepanza tra le normative inizialmente previste e quelle poi effettivamente adottate.
Ma se fin qui sè statistica e possiamo essere daccordo o meno su numeri che aggiornano continuamente, altro soggetto è cosa si fa del vino prodotto e come viene consumato.
A tavola non si invecchia
Un vecchio detto sostiene che a tavola non si invecchia e noi del Cactus siamo molto d’accordo, ma siamo anche convinti che l’esperienza sensoriale con il vino non possa essere limitata a se stessa, o al semplice abbinamento di sapori dettato dalle moderne scelte culinarie, con così tanti vini nazionali ed altrettante tradizioni culinarie crediamo che l’esperienza di un pasto non debba mai essere limitata ai “soli” cinque sensi canonici, ma si debba espandere fino al profondo dell’anima generando un vissuto che possa diventare per noi soggettivamente indimenticabile.
Gli stereotipi culinari ci dicono che un pasto memorabile è quello nel quale la raffinatezza di pietanze, contorni e bevande si arminizza e sorprende in uno spettacolo appositamente confezionato per i commensali, noi del Cactus invece, crediamo che per essere davvero memorabile “quel” pasto non dovrà essere necessariamente il migliore della nostra vita o il più vicino alla concezione di perfezione diffusa dai modelli della grande comunicazione, ma dovrà essere così speciale da restare nei nostri più intimi ricordi per molto tempo e qualche volta per sempre.
Per fare ciò non si deve necessariamente scegliere ciò che è dalla massa o dalle mode considerato il meglio presente nel mondo, ma ci si deve avvicinare alla storia ed alle tradizioni del luogo in cui ci si trova compenetrandone il tessuto sociale nei tempi, evitando le scelte dal cosiddetto “gusto internazionale”, governato da prodotti realizzati con materiali e, nel nostro caso, uve sempre presenti, come Cabernet, Merlot, Chardonnay, Sauvignon, Syrah ed altre, ma cercare di assaporare in pieno, anima e corpo, tutta la magia del posto in cui ci troviamo esplorandone la globalità delle tradizioni e dei prodotti locali.
Il risultato potrebbe non essere il più gustoso per il nostro soggettivo gusto, ma sarà certamente speciale, forse irripetibile e certamente memorabile, avendoci fatto vivere un momento che è impossibile riprodurre altrove, sapendo anche che, al di là degli stereotipi, il gusto è comunque un fatto strettamente personale ed il vino buono non è il più diffuso o quello più costoso, ma quello che più piace a noi.
In questo, noi italiani, siamo certamente fortunati, perchè tra tutte le nazioni al mondo, l’Italia, che è certamente la nazione con la più vasta gamma di vitigni autoctoni, ambiti ed invidiati ovunque, è anche quella dove si hanno le maggiori possibilità di percepirne le singole radici ospitando anche una varietà culturale e culinaria davvero imponente e diversificata, così che si possa pensare di fare un’esperienza nuova e memorabile quasi ad ogni 50 chilometri di distanza tra un logo e l’altro.
Un gusto unico
Per queste rtagioni non poteva nascere altrove il concetto di “slow food”, non solo perchè contrapposto alla frenesia moderna del “fast food” concettualmente proveniente da oltreoceano ed imposto dai ritmi lavorativi sempre maggiori, ma sopratutto per la davvero enorme offerta alimentare presente nella nostra nazione ed invidiata da tutto il mondo, che vale la pena di conservare e valorizzare oppondosi alla politica di un “easy food” alla portata di tutti dappertutto che sempre più industrie multinazionali vorrebbero imporci, non solo a basso costo, ma, soprattuto, a bassissima qualità.
Infine, se è vero, come molti ricercatori ed esperti sostengono, che il futuro del settore del vino dipende dalla sue radici e tradizioni, allora i produttori italiani hanno da sempre tutto il potenziale necessario per portare questa ondata di nuove regole nel mercato piuttosto che essere colpiti da essa. Una prova di questo si trova anche nel sempre crescente interesse, sia sul mercato italiano che in quello internazionale, per i vini italiani, che presentano personalità uniche ed irripetibili e che si contrappongono con efficacia alle piatte ed uniformi caratteristiche che la grande diffusione vorrebbe imporci con vini che tendono ad avere gusti simili o con aromi artificiali intensi, di frutta o legno e persino con alto contenuto di alcool.
Etimologia e prospettive
Ma se l’aggettivo “autoctono” è oggi sempre più ampiamente usato con orgoglio per definire i vini italiani, cosa significa esattamente autoctono e quali sono i vitigni italiani?
La parola, in sè, viene dal greco “Autos” (se stesso) e “Chthon” (terra / suolo) e indica la proprietà di qualcuno o da qualche parte (la propria terra, il proprio suolo, le proprie radici).
Tutto è quindi autoctono di qualche luogo, anche le uve, per esempio, lo Chardonnay è originario della Borgogna che copre un’area molto vasta, anche se, generalmente, per autoctoni consideriamo solo quei vitigni locali che crescono in una zona limitata, uno o due provincie, in cui essi sono nati o si sono diffusi in passato specializzandosi in nuove specie.
I vitigni realmente autoctoni, quindi, dovrebbero essere salvaguardati come antichi vitigni, distinguendo tra sinonimi, cloni, e ogni sorta di altra moderna mistificazione.
In questo contesto, possiamo, per esempio, distinguere tra viti “onnipresenti”, come il Sangiovese che è diffusa in varie parti del centro Italia, ed rigorosamente “regionali”, come il Nero d’Avola siciliano ed altri decisamente “locali”, perché crescono esclusivamente in zone limitate all’interno di una singola regione, come è il caso del Sagrantino umbro.
Per fortuna, lo spirito rinnovato di ricerca e innovazione di molti pionieri del vino di qualità italiano, sembrano investire sempre più risorse intellettuali e denaro nella sperimentazione di vitigni autoctoni, molti dei quali erano stati disattesi per una serie di motivi, ma non certo per mancanza di qualità, producendo un panorama sempre più ampio e ricco di vini unici tra i quali possiamo scegliere.
In definitiva, quindi, lasciarsi andare in questo mare di gusti locali, evitando di affidarci sempre a ciò che conosciamo meglio od a ciò di cui ci fidiamo per paura di fare brutta figura con i nostri ospiti o di non assaporare appieno il momento, ci permetterà di non perdere l’emozione della particolarità del posto rendendo la nostra esperienza sensoriale completa.
La cucina ed i vini italiani sono internazionalmente riconosciuti come sorprendenti e speciali ed i vitigni autoctoni possono essere qualche volta famosi ed altre volte meno, tutti, però, conservano lo speciale sapore dell’anima del posto dove crescono ed al quale sono legati, per questo, in ogni regione, è certamente una piacevole alternativa esplorare la produzione locale.
Senza la pretesa di voler insegnare qualcosa o di esaurire l’argomento, proveremo a descrivere brevemente di seguito la maggior parte di vitigni che conosciamo, suddivisi per regione, come proposta del Cactus per iniziare ad orientarvi nella scelta del vino durante i pasti dei vostri spostamenti nei quali vorrete, se lo vorrete, avvicinarvi alle tradizioni del luogo dove vi trovate.
Per ogni regione abbiamo quindi realizzato una pagina dedicata, se sapremo stimolare la vostra curiosità e vorrete approfondire ulteriormente la materia, vi rimandiamo alle specifiche pagine dei siti specializzati che in rete non mancano di certo.
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