A Carnevale ogni Cactus vale

Secondo la tradizione la parola carnevale deriverebbe dal latino carnem levare, col significato di eliminare la carne, poiché segnava l’ultimo banchetto prima prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima, la festa, però è molto più antica e potrebbe risalire persino alle Dionisie greche o i Saturnali romani e solo successivamente adottata dal cristianesimo.

Nel corso delle feste antiche si realizzava una temporanea sospensione dagli obblighi sociali e delle gerarchie ufficiali allo scopo di permettere maggior scherzo e dissolutezza senza incappare in sanzioni o vendette a causa delle esagerazioni durante i festeggiamenti che dovevano essere una sorta di rinnovamento simbolico attraverso il caos, che conduceva alla fine ad un nuovo e rinnovato ordine costituito per perdurare fino all’anno successivo.

Durante queste feste i partecipanti solevano travestirsi, sia per impersonare e celebrare soggetti tradizionali, paure e leggende, ma forse anche per non farsi ben riconoscere mescolandosi nel caos ed evitare in ogni caso di diventare il sicuro bersaglio di qualcuno, sia durante che dopo le feste.

Nel libro XI del famoso romanzo l’Asino d’oro, Lucio Apuleio descrive come nel corso della festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’Impero romano, vi erano gruppi mascherati festanti che si suppone fossero persone ricoperte di pelli di capra che impersonavano nella tradizione romana la fine del vecchio anno, questi uomini mascherati venivano portati in processione, chiamati Mamurio Velturio e colpiti con bacchette per essere scacciati.

Quasi tutti i festeggiamenti antichi terminavano con il passaggio di un corteo nel quale si trovava sempre almeno un grande carro con il compito di ripristinare l’ordine e far terminare il caos, oppure, come a Babilonia, dove la processione si teneva poco dopo l’equinozio primaverile e simboleggiava il processo originario di fondazione del cosmo, nato dalla lotta del dio salvatore Marduk che vinceva sul drago Tiamat, si trattava di una nave su ruote sopra la quale il dio Luna e il dio Sole ammiccavano al popolo prima di terminare il percorso al santuario della città, simbolo della terra.

Comunque siano andate le cose, si può pensare che la tradizione delle sfilate allegoriche di carnevale siano nate proprio da queste tradizioni, differenti nel mondo, ma molto simili tra loro per irriverenza e goliardia.

Nel carnevale moderno, i festeggiamenti maggiori dovrebbero avvenire il martedì grasso, ultimo giorno prima della quaresima, ma vi sono eccezioni dovute alla fede o alla necessità, come a Milano, dove vige il rito religioso cosiddetto ambrosiano ed il periodo di carnevale si protrae fino al sabato successivo al mercoledì delle ceneri a causa della tradizione che vuole che i cittadini avessero anticamente atteso il rientro del loro amato vescovo Ambrogio, avvenuto appunto il sabato successivo alle ceneri, per festeggiare con lui o in città famose come Venezia o Firenze, dove i festeggiamenti hanno appuntamenti speciali come il volo dell’angelo e quello della Colombina che si tengono la domenica precedente al mercoledì delle ceneri.

Anche a Viareggio, Ovodda, Poggio Mirteto, Borgosesia, Chivasso e Foiano della Chiana il carnevale non termina il martedì grasso ma addirittura la domenica successiva.

Il carnevale, quindi, sia in tempi antichi che in quelli moderni, vuole essere un periodo di rivincita sulla monotonia dell’anno e sulle gerarchie imposte, dove, per un tempo limitato, tutti hanno diritto a divertirsi come vogliono, certo anche i festeggiamenti devono comunque avere un limite, altrimenti l’ordine non potrebbe essere ricostituito lasciando spazio al caos permanente. Moderazione e ragionevolezza, seppur con irriverenza, sono quindi comunque sempre una buona scelta.

Ma se l’antica tradizione del carnevale si è evoluta permanendo anche dopo l’avvento del Cristianesimo, non tutti i carnevali sono uguali e risentono delle modalità ad esso precedenti rendendo la modalità di festa legata al luogo nella quale avviene, per questo l’Italia (ed il mondo) è ricca di maschere regionali di Carnevale nate dal teatro dei burattini, dalla Commedia dell’arte, da tradizioni arcaiche, o persino ideate appositamente in epoca moderna come simboli ditintivi cittadini dei festeggiamenti.

Vediamo alcune di queste:

Abruzzo

La maschera ufficiale abruzzese è Frappiglia, che la tradizione vuole riuscì ad ingannare persino il diavolo pur portandone i segni del suo viaggio all’inferno, ma esiste anche una maschera di nome Patanello, tipica di Francavilla al mare e la coloratissima maschera de “Lu Pulgenella” a Castiglione Messer Marino.

Basilicata

Le maschere della Basilicata sono legate alle tradizioni arcaiche e contadine, nel carnevale di Tricarico vi sono le maschere zoomorfe del Toro e della Mucca, a Satriano ci sono i Rumit, una sorta di alberi semoventi che lasciando i boschi invadono il paese, l’Urs e la Quaresima, a San Mauro Forte Montescaglioso i campanacci la fanno da padrone, ma ci sono anche molti personaggi come la quaremma, il cucibocca, u’ zembr, u’ fus’ (o “la parca”) e ’u zit’ e ’a zita, a Lavello la maschera tipica è “Pett’la ‘ngôule”.

Calabria

La maschera calabrese per eccellenza è Giangurgolo, un personaggio ispirato all’occupazione spagnola e che viaggia su di un carrozzone da teatro col quale, insieme ad amici, propone spettacoli satirici incitando il popolo alla rivolta.

Campania

Sulla Campania c’è poco da aggiungere a quello che tutti sanno, la maschera più famosa è forse Pulcinella che insieme al bergamasco Arlecchino è diventato ovunque nel mondo anche il simbolo della goliardia napoletana e del carnevale italiano.

Pulcinella impersona il carattere napoletano in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, dalla Commedia dell’arte è passato al teatro dei burattini diventandone uno dei personaggi più importanti, archetipo di vitalità, anti-eroe ribelle e irriverente, alle prese con le contrarietà del quotidiano.

Altre maschere campane importanti sono Tartaglia, Scaramuccia e Coviello, anch’esse derivate dalla Commedia dell’arte, la maschera del Carnevale di Sarno, Alesio e gli squacqualacchiun, tipici del carnevale di Teora.

Emilia-Romagna

Non dici Carnevale a Bologna senza citare Balanzone, dottore in legge saccente e presuntuoso, ma anche Fagiolino, servitore arguto e intraprendente, con sua moglie Brisabella, il suo amico Sganapino, pavido e ingenuo, ed il placido (anche troppo) Flemma.

In provincia di Bologna troviamo Bertoldo, che risponde sempre per le rime e si salvarsi da impicci con imbrogli e buffonate, suo figlio Bertoldino e sua moglie la Marcolfa, a Cento, nel Ferrarese, è celebre Tasi, a Modena Sandrone, la moglie Pulonia e il figlio Sgorghìguelo, a Mirandola (MO) troviamo (manco a dirlo) Mirandolina, protagonista della commedia La locandiera di Carlo Goldoni, a Piacenza Vigion, caricatura dei piacentini dell’Appennino, Tulein Cücalla, ciabattino della città, e le rispettive mogli, Cesira e Lureinsa, oltre ad una maschera dalle sembianze disarmoniche e sgraziate, detta U brüttu (Il Brutto) o A Bestra (La Bestia) che guida immancabilmente le sfilate carnevalesche dell’Appennino piacentino, a Parma troviamo Al Dsèvod (L’Insipido), vestito con ridicolo abito a quadri gialli e blu da servitore della signoria locale, ed infine a Castelnuovo di Sotto (RE) il Cstlein che in una suggestiva cerimonia riceve ogni anno la chiave della città diventandone il custode per tutta la durata del Carnevale, riconsegnandola al sindaco solo a fine festeggiamenti.

Friuli-Venezia Giulia

Il Friuli-Venezia Giulia si caratterizza per i carnevali alpini con maschere tipiche a differenza dei luoghi, i Blumari a Pulfero, i Maschkar e gli Jutalan a Timau, te lipe bile maškire, “belle maschere”, a Resia; i demoniaci babaci o kukaci, le Scheintena schembln e le Scheana schembln a Resia, dove il carnevale è detto anche Pust, e, infine, a Monfalcone il Sior Anzoleto Postier.

Lazio

Chi non conosce Rugantino non ha mai visto uno spettacolo teatrale in vita sua, la maschera tipica della capitale è nota in tutta Italia e più volte messa in scena da attori famosi, Rugantino, che ha avuto varie evoluzioni nel tempo, impersona il romano tipico al quale si affiancano Nina e Meo Patacca, originari del teatro popolare, senza disdegnare contatti con il napoletano Pulcinella e il generale Mannaggia La Rocca. In Ciociaria possiamo trovare la maschera del Bravante, un brigante spavaldo, spaccone e furbo ideato dall’artista Gian Carlo Riccardi.

Liguria

Liguria fa riferimento generalmente alla maschera di Capitan Spaventa, proveniente dalla Commedia dell’arte, ma a Genova ci sono anche Baciccia della Radiccia ed il suo fidato amico Barudda, nati come burattini, mentre a Savona spadroneggia Cicciolin, a Loano Becciancìn, a Cairo Montenotte Nuvarìn ed a Pieve di Teco Bacì l’Inciaštru.

Lombardia

In Lombardia Meneghino è il simbolo più noto di Milano, insieme a sua moglie Cecca di Berlinghitt, ma da qualche parte si può vedere ancora Beltrame, di origine più antica e meno noto.

A Bergamo troviamo l’ultracelebre Arlecchino, simbolo, insieme al napoletano Pulcinella, del carnevale italiano, ma anche Brighella, anch’esso proveniente dalla Commedia dell’arte, nelle forme dialettali è sinonimo di persona disordinata a confusionaria per tutto l’anno, e Gioppino, burattino per antonomasia.

A Schignano ci sono i bej (belli), i brutt (brutti) ed il Sapor (un uomo selvatico), a Crema il Gagèt col sò uchèt, a Busto Arsizio, ma solo dal 1983, Tarlisu ed a Varese, dal 1956, Pin Girometta, a Castel Goffredo, dal 1872, Re Gnocco, e a Bagolino i balarì e i maschèr (ballerini e maschere).

Marche

Le Marche possiedono una gran ricchezza di maschere, ognuna tipica di una zona.

Mosciolino ad Ancona ha affiancato le più tradizionali maschere di Papagnoco, contadino fustigatore dei liberi costumi cittadini, e di Burlandoto, guardia daziaria e dunque controllore delle merci che i contadini portavano in città, a Pesaro troviamo il Rabachen (“baccano”), con l’alto cappello a cilindro, e la sua compagna Cagnèra (“lite, cagnara, confusione”), che porta una veletta a coprire interamente il viso ed innumerevoli nastri sul vestito, ad Offida vi è il guazzaró, vestito di un saio di tela bianca con fazzoletto rosso al collo, ad Ascoli Piceno lu sfrigne, con abiti da pezzente impersona un allegro venditore di aringhe che pendono da un ombrello, a Fermo Mengone Torcicolli è il fratello di Bartoccio, maschera umbra, a Fano il Vulon, che deride i gradassi e i vanitosi e che si pensa originato dalle parole Nous Voulons (“noi vogliamo”) dall’usanza di Napoleone Bonaparte di promulgare le sue leggi iniziando gli editti con queste parole.

Molise

Il carnevale molisano è rimasto arcaico e selvatico e si possono trovare un po’ ovunque tre Folletti-Monaci che tengono in catene il Diavolo di Tufara e due Pulcinella-Morte che lo accompagnano brandendo il falcione, saltando ed urlando, l’Uomo-Orso di Jelsi spunta improvvisamente dalla foresta vicino la città ma viene catturato e costretto a ballare la musica di suonatori improvvisati da un coraggioso Domatore, a Macchiagodena più comuni sono “ru Brutt”, “ru Biell” e “la Santa Monna”, mentre a Castelnuovo l’Uomo-cervo, la Donna-cervo, il Martino, il Cacciatore, il Maone e le Janare.

La cultura agreste è così radicata che ad Isernia si tiene da qualche anno il Carnevale Europeo delle Maschere Zoomorfe che riunisce in un unico corteo maschere “bestiali” provenienti da tutta Europa.

Piemonte

In Piemonte troviamo un’altra delle più celebri maschere italiane: Gianduja, sempre accompagnato da sua moglie Giacometta, entrambi simboli del Carnevale di Torino nel mondo, ma piemontesi sono anche gli sposi Stevulin dla Plisera e Majutin dël Pampardù del carnevale di Santhià, Gagliaudo Aulari, personaggio storico medievale divenuto la maschera tipica di Alessandria, Re Biscottino e la Regina Cunëta, simboli del benessere economico di Novara, il Bicciolano e la Bela Majin, legati ad ideali di rivolta contro i soprusi e il ripudio delle angherie, emblema del carnevale di Vercelli, Violetta, la Vezzosa Mugnaia figura principale del Carnevale di Ivrea, la Regina Papetta e Conte Tizzoni a Crescentino, a Biella il Gipin e la Catlin-a cui si contrappone il Babi, rospo che simboleggia la città rivale di Vercelli, oltre alle maschere tipiche dei carnevali alpini che simboleggiano orsi, lupi e uomini selvatici di ogni sorta.

Puglia

A Putignano troviamo Farinella, un giullare con un abito a riquadri multicolori, a Corato “U’ Panzone” (il Panzone), “La Vecchiaredd” (la Vecchierella) e “U Scerìff” (lo Sceriffo) e Re Cuoraldino, a Massafra Lu Pagghiùsë e Gibergallo, a Gallipoli u Titoru di Gallipoli, a Bisceglie don Pancrazio Cucuzziello (o il biscegliese), ad Aradeo lu Sciacuddhuzzi, a Casarano lu Casaranazzu, a Manfredonia Ze’ Peppe ed a Foggia, dove il primo carnevale venne organizzato nel 1948 a Borgo Croci, sono tipiche le maschere di ‘u Moneche cercande, ‘a Pacchianèlle, Menille, Ursitte stagnarille, Sciammi sciamme, Zechille e Peppuzze.

Sardegna

Le maschere sarde sono legate ad antichi riti sacri e propiziatori legati alla vita contadina e al ciclo della vita e delle stagioni. Tra queste troviamo fertilità, vita, morte, il demonio, la lotta tra animali e l’addomesticamento degli animali da parte del pastore.

Il Carnevale (o Carrasecare) in Sardegna si festeggia in diversi periodi dell’anno ed alla figura dell’uomo, il cui volto è solitamente annerito dalla cenere o camuffato da una maschera scura, si accosta sempre una figura animale, a Fonni de S’Urtzu o Orcus latino, i Sos Urthos e sos Buttudos, a Ortueri S’Urtzu e is Sonaggiaos, a Ula Tirso e Seui S’Urtzu e sos Bardianos Ula Tirso, ad Autis S’Urtzu e Sos Colonganos, ad Olzai Sa maschera e porcu, a Sarule il gatto (Sa maschera e gattu), a Villaputzu l’uomo coniglio Is Facciolas di Villaputzu, il cervo Is Cerbus di Sinnai. Nella maggior parte dei casi, alla maschera si associa solitamente un abito detto mastruca, principalmente fatto di pelle di pecora ma anche di altri animali ed accompagnato da campanacci di differente tipo e grandezza, posti sulla vita e sulla schiena, ad Austis, la maschera di Su Colonganus il campanaccio è sostituito dall’osso di animale ed a Cuglieri i Sos Cotzulados agitano conchiglie.

Anche se dall’esterno il carnevale sardo può sembrare poco vario, sull’isola sono presenti di 50 differenti maschere tradizionali, legate alla vita cittadina, come sa dida (la balia), su macu (il pazzo), su tiaulu (il diavolo), sa viuda (la vedova), s’arregateri (il rigattiere), su moru (il moro), sa gatu (il gatto), su piscadori (il pescatore), sa panetera (la panettiera), su paliatzu (il pagliaccio), su caddemini (il mendicante), su dotori (il dottore), su sabateri (il ciabattino), su piciocu de crobi (il garzone), su bandidori (il banditore) e altre ancora, od a quella agreste, come per i Mamuthones e gli Issohadores di Mamoiada, i Boes e Merdules con l’enigmatica sa Filonzana di Ottana, Cambas de Linna (gambe di legno) di Guspini, i Mamutzones di Samugheo, lu Traicogghju di Tempio Pausania, la Réula (schiera dei morti) e lu Linzolu cupaltatu, figura femminile avvolta in un lenzuolo e per questo irriconoscibile e disinibita, le maschere del carnevale di Ollolai chiamate Sos Bumbones, Sos Truccos o Sos Turcos, Maria Vressada, Maria Ishoppa e Sa Mamm’e e su Sole, figure femminili rappresentate da uomini avvolti in un pizzo bianco con le spalle coperte da una mantella e uno scialle rosso, viola e blu.

Ma anche su Maimulu di Gairo e Ulassai, O’Sincu S’Attitidu di Bosa, Sos Tumbarinos di Gavoi, S’Ainu Orriadore di Scano Montiferro, Sos Thurpos di Orotelli, Su Maimone di Oniferi, Sas Mascheras a lenzolu di Aidomaggiore, Sas Mascaras Nettas e Sas Mascaras Bruttas di Lodè, Is Mustayonis e s’Orcu Foresu di Sestu, Sos Intintos di Ovodda e di Tiana, Is Scruzzonis di Siurgus Donigala, Su Traigolzu di Sindia, Sos Bundos di Orani che è il solo personaggio del carnevale sardo a nascondere il viso sotto una maschera interamente di sughero, con delle lunghe corna, un naso grosso e aguzzo, il pizzo e i baffi posticci.

Sicilia

Beppe Nappa, beffardo, pigro ma capace di insospettabili salti e danze acrobatiche è la mascher forse più tipica della Sicilia, varie città si contendono la sua nascita ed a Sciacca è solennemente celebrato con un carro molto amato che l’ultimo giorno di festeggiamenti viene bruciato.

Un’altra diffusa figura di servo sciocco è Pasquino, da non confondere con l’omonimo romano, “U Scaccíuni”, tradizionale di Cattafi, ha origini turche e oltre 500 anni di storia, mentre Doroteo, maschera ufficiale del Carnevale di Acquedolci, è un’invenzione del 2004 diventato subito famoso in città, per ultimo Giufà, i cui racconti buffi sono riportati in molti testi tradizionali siciliani.

Toscana

In Toscana le maschere hanno origini molto differenti, Stenterello, che proviene dalla Commedia dell’arte, rappresenta il popolano fiorentino, di bassa estrazione, oppresso da avversità e ingiustizie, ma che ha sempre in sé la forza di ridere e scherzare, Burlamacco con la sua compagna Ondina, sono invece nate nel 1930 come simbolo del Carnevale di Viareggio e Cassandro, tipico della Commedia dell’arte senese della seconda metà del ‘500, è credulone e sciocco quanto infido e guastafeste essendo spesso d’intralcio alle storie d’amore tra i giovani.

Trentino-Alto Adige

I carnevali alpini del Trentino-Alto Adige non sono meno interessanti e vari con una grande ricchezza di maschere di carnevale, tra le più note troviamo matoci di Valfloriana e gli altissimi e impressionanti Schnappviechern di Termeno, Salorno e Nova Levante, detti anche Wudelen, mostri con testa pelosa e grande bocca, che viene fatta aprire e chiudere producendo un caratteristico frastuono, nelle sfilate, dette dell’Egetmann, sono presenti anche le maschere raffiguranti l’uomo selvatico e l’orso, mentre la val di Fassa, ricca di maschere tipiche, ha i marascons, bufon, lachè, arlekin, pajazi, facères da bèl e facères da burt.

Umbria

La maschera più nota dell’Umbria è forse il perugino Bartoccio, rozzo, ma anche sagace, gioviale e saggio fustigatore dei liberi costumi e dei cattivi amministratori, ad Avigliano Umbro troviamo Nasotorto, Nasoacciaccato, Chicchirichella e Rosalinda, quattro personaggi di moderna invenzione associati ai quattro rioni del paese, a Montecastrilli.

Valle d’Aosta

Le Landzette sono tipiche della Valpelline e della Valle del Gran San Bernardo e della Bènda, il corteo del carnevale composto da gruppi mascherati detti patoille, fanno parte anche l’Orso e l’Arlecchino.

Veneto

Non dici carnevale se non pensi a Venezia ed al suo carnevale storico noto a livello internazionale con celebri e celebrate in tutto il mondo, provenienti dalla Commedia dell’arte, tra queste Pantalone con sua figlia Rosaura e la furba servetta Colombina, Arlecchino e Brighella, seppur provenienti da Bergamo sono anche di Venezia perché, secondo la tradizione, lavoravano come servi nel capoluogo veneto.

A Venezia, però, basta indossare una bautta, l’antica maschera facciale chiamata anche larva che associata ad un cappello a tricorno ed un tabarro sulle spalle garantisce l’anonimato, per essere già addobbati da carnevale.

Un’altra maschera meno conosciuta ma non meno caratteristica del carnevale veneziano è il mattasin, il mattacino, una sorta di pagliaccio con un abito bianco o multicolore, leggero e corto, con in testa un cappello piumato e che lanciano “ovi profumai” (uova profumate).

A Verona troviamo Fracanapa, Mastro Sogar e Papà del Gnoco, nelle Alpi venete la Zinghenésta (che indica anche la festa stessa), il matazin detto anche matacinc o matel, il lakè, il roncer, il puster, i pajazi, i ber, gli spazzacamini, i brutti e i belli, a Sappada (ora in Friuli V. G.) il Ròllate.

 

Se siete arrrivati fino a qui, per finire una chicca:

IL VESTITO DI ARLECCHINO
di Gianni Rodari

Per fare un vestito ad Arlecchino
ci mise una toppa Meneghino,
ne mise un’altra Pulcinella,
una Gianduja, una Brighella.

Pantalone, vecchio pidocchio,
ci mise uno strappo sul ginocchio,
e Stenterello, largo di mano
qualche macchia di vino toscano.

Colombina che lo cucì
fece un vestito stretto così.
Arlecchino lo mise lo stesso
ma ci stava un tantino perplesso.

Disse allora Balanzone,
bolognese dottorone:
“Ti assicuro e te lo giuro
che ti andrà bene li mese venturo
se osserverai la mia ricetta:
un giorno digiuno e l’altro bolletta!”.