Sebbene l’Abruzzo sia ben noto per il suo ambiente incontaminato, avendo guadagnato la definizione di “Regione Verde d’Europa“, pochi sanno che la viticoltura fu introdotta in questa regione dagli Etruschi nel VI o VII secolo a.C.. Infatti, antichi scrittori e storici, come Polibio di Megalopoli, Plinio il Vecchio e Andrea Bacci documentarono questa cultura nelle loro opere. La conoscenza e le tecniche della viticoltura furono tramandate di generazione in generazione e migliorate nel corso del tempo, rendendo l’Abruzzo la quinta regione produttrice di vino in Italia, dopo Veneto, Emilia Romagna, Sicilia e Puglia.
La viticoltura è concentrata principalmente nella provincia di Chieti.
La piattaforma ampelografica della regione è piuttosto ampia e comprende sia vitigni autoctoni che internazionali, anche se solo due varietà, Montepulciano e Trebbiano, rappresentano circa il 90% dell’intera produzione di uva. Tuttavia, nella regione si possono trovare diverse uve autoctone, alcune delle quali sono abbastanza diffuse, come la Passerina e il Pecorino, mentre altre ancora, come il Moscatello di Castiglione, sono in fase di recupero e iscrizione al registro nazionale delle viti.
La riqualificazione della vitivinicoltura abruzzese ha comportato l’incremento della produzione di quattro vini DOC e l’introduzione di nove vini IGT, nonché la produzione di più tipologie di vino, tra cui bianchi, rossi, rosati, novelli e spumanti realizzati con uve autoctone, come Trebbiano, Passerina e Pecorino, tra gli altri.
Vitigno | DOC | DOCG |
Montepulciano |
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Trebbiano |
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Passerina |
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IGT | Vitigno |
Alto Tirino |
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Colli Aprutini |
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Colli del Sangro |
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Colline Frentane |
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Colline Pescaresi |
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Colline Teatine |
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Del Vastese o Histonium |
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Terre di Chieti |
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Valle Peligna |
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Bianchi
Trebbiano abruzzese e Trebbiano toscano
Sebbene non sia una certezza storica, si ritiene che il vitigno Trebbiano sia coltivato nelle regioni centrali dell’Italia fin dall’epoca romana. Infatti, Plinio descrive un ‘Vinum Trebulanum‘, il cui nome, secondo il professor Franco Cercone, deriva da trebula, che significa complesso di case, o fattoria, e non si sa se la definizione fosse usata anche per il vitigno. Tuttavia, la parola Trebbiano in generale era usata per definire un vino bianco locale, che oggi definiremmo ‘paesano‘ (‘del paese’) o ‘casereccio‘ (‘fatto in casa’), prodotto in vari paesi e frazioni di campagna e bevuto dai contadini. D’altro canto, il professor Mariano Corino, che ha tradotto dal latino all’italiano il De Naturali Vinorum Historia de Vinis Italiae (Storia naturale dei vini da vitigni italiani) di Bacci, menziona spesso un vino Trebulano prodotto a Trebula, la città oggi conosciuta come Treglia, nella regione Campania.
Le menzioni storiche dell’uva Trebbiano in Abruzzo risalgono al 1550 e sono registrate in una monografia di Raffaele Sersante del 1856, in cui si menziona come questa varietà fosse ampiamente coltivata e ben nota come “uva passa” (uva semi-semi-secca), e non esclusivamente nelle comunità rurali”.
Attualmente molti cloni di vitigni italiani sono noti come Trebbiano, spesso seguito da un nome geografico che indica il luogo di origine o dove è più ampiamente coltivato. Cercare di descrivere le differenze tra i vari cloni, tuttavia, è un compito arduo. Infatti, per lungo tempo il Trebbiano Abruzzese è stato confuso con il Bombino Bianco, tanto che la denominazione ufficiale delle uve che vanno nel vino Trebbiano d’Abruzzo, ancora oggi recita che deve essere “prodotto con uve provenienti da vigneti di Trebbiano d’Abruzzo (Bombino Bianco) e/o Trebbiano Toscano …”.
Il Trebbiano Abruzzese è stato registrato nell’Albo nazionale delle varietà di vino italiano Catalogo del 1994 (D.M. 24.11.1994), e, come ha scritto Giancarlo Moretti nel suo libro Il Trebbiano d’Abruzzo, ha caratteristiche simili al Biancame, un biotipo del vitigno Trebbiano Toscano. I circa 14.000 ettari (poco meno di 34.600 acri) di vigneti regionali) producono grappoli piramidali, compatti, con ‘ali‘ più o meno sviluppate. La vite fiorisce piuttosto tardi, e il frutto matura tardi, diventando solitamente pronto per la vendemmia tra il 20 settembre e il 10 ottobre.
Il vino è giallo paglierino, più o meno intenso, con leggeri riflessi verdi. Il profumo di frutta e fiori con finale di mandorla amara è piuttosto persistente. Profumi e sapore vengono notevolmente migliorati quando il vino viene affinato sia in piccole botti di legno che in tini di legno più grandi.
Passerina
Appartenente alla famiglia dei Trebbiani, la Passerina è considerata un vitigno autoctono dell’Italia centrale. Coltivato in piccoli vigneti, soprattutto nelle Marche e in Abruzzo, questo vitigno è conosciuto anche come Trebbiano Campolese, o Camplese, nelle province di Teramo e dell’Aquila, Trebbiano Scenciato in provincia di Chieti e Trebbiano Dorato in provincia di Pescara. Il grappolo è di medie dimensioni, alato, con acini molto distanziati. La maturazione è medio-tardiva, ed è caratterizzata da un lento accumulo di zuccheri senza una proporzionale perdita di acidità. Il vitigno Passerina è resistente alle comuni e maggiori malattie, tra cui la botrite, e di solito fornisce buone rese.
Il vino è giallo paglierino con riflessi verdognoli e dorati, aromi di frutta, fiori e spezie, con sfumature di agrumi e verdure secche, piacevolmente intenso e persistente; buona acidità, con finale leggermente amarognolo e buona struttura.
Pecorino
Altro vitigno della famiglia dei Trebbiani di origine incerta, il Pecorino è coltivato da secoli nelle regioni centrali dell’Italia, in particolare Marche e Abruzzo, dove è conosciuto anche con denominazioni diverse. Il grappolo è di medie dimensioni, lungo, cilindrico o piramidale, spesso alato, con acini molto distanziati. La maturazione è medio-precoce, leggermente precedente al Trebbiano Toscano, e solitamente si raccoglie a metà settembre, con una buona resa per ettaro.
Come vitigno, produce un vino dal colore giallo paglierino con leggeri riflessi dorati e verdi; con profumo mediamente intenso e persistente di fiori e frutta, in particolare di mela, banana e spezie. Acidità media, leggero amarognolo e buona struttura.
Montonico Bianco
L’uva Montonico è coltivata in Abruzzo almeno dalla metà del XIX secolo, soprattutto nei comuni di Montonico di Bisenti e Poggio delle Rose in provincia di Teramo. Il grappolo è grande, lungo e compatto, cilindrico o piramidale. Sebbene maturi tardivamente, raggiungendo la piena maturazione intorno alla seconda decade di ottobre, il suo periodo di vendemmia cambia a seconda del tipo di vino a cui è destinato, infatti, viene vendemmiato precocemente quando il mosto viene utilizzato come base per vini spumanti, preservandone così l’acidità. Questo vitigno prospera in ambienti freschi e temperati con terreni poco fertili.
I vini prodotti con quest’uva hanno un colore giallo più o meno intenso, a volte con riflessi verdognoli, basso tenore alcolico, leggero profumo di frutta e spezie, sono leggermente astringenti e di buona struttura.
Cococciola
Questo vitigno autoctono è coltivato principalmente nei comuni di Vacri, Ari e Rocca San Giovanni, in provincia di Chieti, e raramente si trova in altre zone vinicole regionali. Viene utilizzato principalmente in uvaggio con altri vitigni, in particolare Trebbiano. Il grappolo è grande, spesso alato e irregolare, compatto e matura tardivamente nella stagione, intorno alla prima parte di ottobre.
I vini sono di colore giallo paglierino chiaro e di media struttura, con elevata acidità che permane a lungo con un tipico aroma erbaceo leggero e persistente.
Rossi
Montepulciano
Il primo resoconto storico dell’uva Montepulciano in Abruzzo si trova nel 1793 nel libro Saggio Itinerario Nazionale pel Paese dei Peligni dell’archivista e bibliotecario di re Ferdinando IV, Michele Torcia. Durante il suo viaggio del 1792, Torcia venne a conoscenza del vitigno Montepulciano e assaggiò il vino prodotto con esso nella campagna di Sulmona. Non si sa come il vitigno sia arrivato a Sulmona, tuttavia, secondo lo storico e ricercatore, il professor Franco Cercone, molto probabilmente fu portato dal comune di Montepulciano, in Toscana, dove era noto come Prugnolo, ma il nome fu subito cambiato in Montepulciano, poiché all’epoca spesso vini e vitigni venivano chiamati con il nome del loro luogo di origine.
Ciò che conta, tuttavia, è che durante l’inizio del XIX secolo il Montepulciano cresceva in perfetto isolamento nella zona della Conca Peligna in Abruzzo, dove si è evoluto ed è diventato un’uva con caratteristiche e personalità uniche. Scrive infatti Panfilo Serafini, storico di Sulmona (1817-1864) nella sua Monografia Storica di Sulmona, pubblicata nel 1854 su Il Regno delle Due Sicilie Scritto ed Illustrato di Napoli: “Il vitigno più diffuso è il Montepulciano, vendemmiato o appena maturo, o tardivamente…” L’uva Montepulciano è quindi coltivata in Abruzzo da oltre due secoli. Grazie al peculiare microclima regionale, la vite ha trovato un ambiente particolarmente favorevole, in cui l’uva produce grandi vini corposi e robusti, ma al tempo stesso eleganti e gradevolmente profumati.
Il Montepulciano può quindi essere considerato un vitigno autoctono abruzzese, e attualmente rappresenta circa il 50% del vigneto regionale, ovvero circa 18.000 ettari (circa 44.500 acri).
È un vitigno rosso di media intensità, con foglie medio-grandi a cinque punte, grappolo compatto, piramidale conico, spesso con ali, acini leggermente ovoidali con buccia consistente. È un’uva a maturazione tardiva che di solito è pronta per la vendemmia a metà ottobre.
Il vino Montepulciano è solitamente rosso rubino con riflessi viola e profumo di violetta, ciliegia, frutti di bosco, liquirizia e tabacco. Sebbene sia un vino da bere giovane, è un vino che invecchia con grazia in bottiglia.
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